Cose di nessuna importanza, ovvero di vacanza

canucce

Racconti da un’altra estate.

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Ho sempre odiato il billy, la scatoletta di tetrapack al sapore (flebile) d’arancia che andava di moda nella mia infanzia. L’odio si estendeva a tutti gli scatolotti affini, senza discriminazione di gusto o di marca, di contenuto o contenente, di sostanza o simbolo.
Succhi di frutta sottocosto o estathé, il mio era un disgusto chimico, egualitario e democratico.
Però ho amato moltissimo le cannucce.
Negli anni ho imparato a seguirne i percorsi evolutivi, gli adattamenti funzionali e morfologici.
La cannuccia non ha estetica, non vi fate distrarre dai colori. La cannuccia è sostanza. Dai rigidi tubolari cilindrici di formato mignon a quelli a due colori con il taglio obliquo sul lato che perforerà la pellicola dello scatolotto, dalla curva rigida per favorire la suzione al morbido soffietto.
La cannuccia è un miracolo di ingegno. Confesso che ancora oggi, d’estate, mi scopro ad acquistare almeno un succhino, ad aprirne la plastica della cannuccia e a scrutarne lo stato di avanzamento.
Non ho mai pensato che l’innovazione tecnologica passasse da qui.
Ma da sempre mi piace pensare al laboratorio di questa o quella azienda, e a quel qualcuno concentrato a studiare l’adattamento delle cannucce al palato. Signori vestiti di bianco circondati da bicchieri e cannucce, tutto il giorno. Per migliorare un istante delle nostre giornate.
Così immaginerete la mia gioia quando ieri ho aperto la confezione merenda del latte Arborea e ho trovato un piccolo miracolo: una cannuccia completamente nuova, sigillata dal lato della suzione ma con quattro fori ellittici che aderiscono perfettamente all’arcata del palato e alla lingua, rilasciando quantità variabili di liquido.
Come un ebete, sorridevo alla cannuccia.
Che poi dico, mi piacesse almeno, il latte. Ma chisseneimporta.
Da ieri ho un nuovo momento di trascurabile felicità.

Sentieri a Sud

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Ho un nuovo progetto. La sua gestazione è stata lunga, e si è nutrita di chiacchiere e sogni, incontri e letture, sguardi e profumi, mare, terra, ulivi, viaggio.

Il mese scorso, a giugno, abbiamo messo la prima pietra. La settimana scorsa, per la prima volta ne ho parlato a gente sconosciuta, uscendo allo scoperto.  L’occasione ce l’ha data  “Sentieri a Sud”.

Sentieri a Sud è il nome di una piccola rassegna di attraversamenti culturali tra antiche tradizioni e nuovi strumenti di narrazione e racconto. La organizza Kurumuny, la casa editrice salentina fondata dall’etnomusicologo Luigi Chiriatti, conficcata nel cuore della Grecìa, tra Martano, Calimera e Martignano. Il suo nome, Kurumuny, nasce proprio dal territorio. La sua etimologia ci porta infatti al nome che in griko si dà al germoglio dell’ulivo, un giovane ramo, come si legge nella presentazione dell’editore, “che affonda le radici nel territorio, sospesa fra sedimenti di antichità e orizzonti futuri”. Kurumuny è un pezzo di campagna, qualche ettaro di campagna fuori Martano, tra muretti a secco, vecchi frantoi, ulivi resistenti e terra rossa.

A Kurumuny ci arriviamo alla cieca, perché le indicazioni dicono di seguire fino alle ultime vie tracciate dal segnale, e poi chissà. Nel buio della campagna, qualche luce soffusa ci indica il passo. Sopra di noi, un strada piena di stelle, accompagnate dai grilli della notte, fa il resto.
Ci andiamo perché l’8 luglio si tiene il primo incontro previsto dalla rassegna. E Giovanni, che fa il direttore editoriale, a giugno, quando siamo andati a trovarlo nella sede di Martignano, ci ha detto che sarebbe stato bello vederci lì.
Con Giovanni abbiamo parlato del mio progetto nuovo, un libro sull’emancipazione delle donne del Salento, un libro bello che parli di storie che partono dal quotidiano, fatto di incontri e racconti, storie di ritorni e partenze, di progetti e speranze, di investimenti, di sfide e lotte. Un libro che è un viaggio lungo un alfabeto di stazioni che si chiamano come i comuni del territorio, un viaggio in treno lungo la ferrovia del Sud Est, lungo i binari unici che oggi risuonano di altri sentimenti forti e tremendi. La serata dell’8 è un inizio, un modo per immergersi in un territorio non scontato, un mondo conosciuto e amato in tanti ritorni da raccontare con occhi militanti.

Un progetto di rinascita da far partire in una terra che è naturalmente frontiera, approdo, interazione.

Sarà stato un caso, ma la presentazione del libro che dà ragione della serata, la “Favola agrodolce di riso fuori sede”, di Silvia Rizzello, diventa nei minuti che scorrono giusti l’occasione per un’altra narrazione: quella che scopre la terra di Puglia come crocevia di esperienze, con un primo fulcro nella Bari degli anni novanta, durante l’epico sbarco di 20.000 albanesi. Quella che narra storie di integrazioni feconde, come quella di Nabir Bey,  palestinese, voce e autore dei Radiodervish e corrispondente per dieci anni in Italia per Al Jazira. Quella che testimonia, insieme a Mauro Zacheo, la scommessa di un assessorato bellissimo, le Politiche per l’Accoglienza, del Comune di Martano.

Di solito le presentazioni sono noiose. Questa non lo è. E il primo regalo arriva dal pubblico, dalla voce di Maria Teresa che di anni ne ha molti di più dei miei, e li ha passati ad animare culturalmente l’italia ai tempi delle sezioni di partito, ai tempi dei cittadini partecipanti, ai tempi in cui il nostro paese non dormiva un sonno della ragione. Vincendo la mia timidezza inopportuna, cerco Maria Teresa dopo le parole animate, durante la cena conviviale offerta dalla comunità. Grazie a un negramaro generoso nei bicchieri, insieme, sotto le foglie, alla luce delle lampadine delle feste di paese, iniziamo a parlare di donne e politica, di cultura e impegno, di rinascita. Insieme, sulle panche di legno, si rinnova il miracolo dello scambio tra sconosciuti accorsi come noi nella sera d’estate che profuma di caldo per raccontarsi le vite. Il mio compagno è rapito dalla serata, Maria Teresa intreccia le sue mani nodose e il suo carattere caparbio con gli occhi buoni dell’orso barbuto venuto dal nord a conoscere altri suoni e altre vite.

Maria Teresa mi dà il suo numero. Vieni a trovarmi, mi dice. Abito nelle campagne intorno a Lecce, staremo insieme, pranzeremo e parleremo. So che lo faremo presto e ci accomiatiamo tra gli abbracci, sotto gli occhi benevoli di Gianluca, il figlio di Maria Teresa, di sua moglie, dei nostri amici, che sorridono all’incontro felice.

Eccolo, l’inizio del viaggio. Arriva quando meno te lo aspetti. Inizia e basta.

Dentro una terra, dentro le persone.

Sentieri a Sud. Nomen omen.